La vera accoglienza è relazione e disponibilità all’incontro
È piuttosto difficile esprimere la bellezza e la valenza etica del “Fattore Sport” di cui il Csi sta permeando il territorio italiano. Un’Italia punteggiata di comitati scesi in campo per il progetto, dal nord a sud; una nazione unita da una gioiosa invasione di sport teso a proporre valori sociali, di integrazione, inclusione e condivisione. Così è stato possibile avviare nei singoli territori una promozione sociale attraverso lo sport, grazie alle polisportive sociali, grazie appunto a quello S Factor, che è riuscito ad inquadrare la migliore prospettiva umana possibile. Indubbiamente questa nuova avventura associativa risponde affermativamente alla domanda: «C’è bisogno ancora di sport sociale?». Dico sì, aggiungendo inoltre che c’è oggi un bisogno ancora maggiore che nel passato. La società in cui viviamo ha disperatamente bisogno di uno sport attento alle persone, ai ragazzi, ai giovani, al recupero delle periferie urbane e sociali. Solo chi soffre di cecità del cuore e non percepisce i reali bisogni di questi nostri tempi non si rende conto della fondamentale necessità di proporre delle attività sportive, che abbiano al centro l’attenzione per le persone, tenendo il timone sulla direzione dell’accoglienza, davvero per tutti. Per chi vive storie “speciali” e per chi vive nella cosiddetta “normalità”, sapendo che una normalità non esiste, né è mai esistita perché ogni persona è speciale e unica di fronte a Dio e alla storia. Ma è questo il punto: dobbiamo andare oltre le categorie e tornare alle persone, perché se pensiamo di concentrare la nostra cura su storie umane particolari sbagliamo approccio. La vera accoglienza non è di qualcuno che, da posizioni di vantaggio, apre le braccia all’altro, ma di una disponibilità all’incontro. Che io arrivi in terre nuove o che mi ci trovi portato dalla sorte, sono chiamato a costruire una relazione, ad aprirmi all’incontro, perché è questo che fanno i cristiani.
Il mondo attorno a noi sa che dove ci sono immigrati bisognosi di un luogo dove porre il piede e lasciare l’impronta della propria esistenza, il Csi è presente. Dove c’è bisogno di lavoro per restituire occasioni di riscatto ai detenuti il Csi è presente. Dove si tende la mano a persone sofferenti per le più disparate dipendenze, il Csi c’è. Ma non possiamo fermarci qui, perché il nostro compito è stare dentro la comunità, tutta, intera, integra, e lavorare per la proposta di uno sport che faccia crescere, che educhi, che porti a sentirci fratelli.
Del resto non dovremmo fare particolare fatica perché nel nostro Dna è inciso indelebile l’impegno a creare inclusione per tutti ed uno sport alla portata di tutti.
Eccoci allora pronti a lavorare per combattere la preoccupante inattività sportiva di tanti ragazzi. Eccoci entrare in gioco sul territorio periferico, dove centinaia di dirigenti preparati e con il cuore grande, sono pronti a far vivere polisportive sociali.
Quando entra in gioco il territorio, con l’incredibile capacità dei dirigenti e dei volontari di far vivere il Csi non esistono più obiettivi irraggiungibili, ma solo traguardi perseguibili. Dobbiamo però crederci; serve qualcuno che si spenda per rendere concreta l’organizzazione dello sport che attira i ragazzi, li fa divertire, li appassiona e li rende amici per sempre.
Questo è fare educazione. Un compito sempre più complicato che non possiamo affrontare da soli, ma in rete con le famiglie e con tutte le agenzie educative esistenti. Anche qui vale il detto che se vuoi arrivare velocemente devi correre da solo, ma se vuoi andare lontano, allora devi metterti dentro un gruppo e lavorare con gli altri. In questo caso si va davvero lontano, verso la realizzazione dei nostri valori, eterni perché affondano le radici nella fede.